mercoledì 24 settembre 2008

pole pole

... pianin pianino si sta meglio. Pole pole. La radice del problema sta nei punti di riferimento. Ma in senso veramente spaziale. Sono stata altre volte all'estero ma solo adesso mi accorgo di quanto sia importante riconoscere i luoghi. Se non hai la minima idea di dove sei, devi fare completo affidamento su persone estranee. Quando vai in vacanza non te ne accorgi perché hai cartine super dettagliate e in un modo o nell'altro riesci a ritrovarti in luoghi che non hai mai visto. Qui a Dar la situazione si complica perché non ci sono molte vere strade. Con asfalto, indicazioni e tutto. Qui anche le fermate dei micro-autobus non sono segnalate (a parte un paio). Tutto si basa sull'esperienza. L'autobus si ferma in certi posti, ma lo sai solo perché l'hai già preso. E se non l'hai già preso, qualcuno che conosci l'ha preso prima di te. Devi affidarti agli altri. E questo disturba. E non perché gli altri in questo caso sono di un altro colore. Semplicemente perché sono altri. Perciò quando finalmente camminando sbagliando strade e guardandoti tanto intorno cominci a riconoscere le case, i palazzi, le insegne, i cartelloni e ti crei pian piano una mappa mentale dei luoghi, allora acquisti più sicurezza in te stesso. E paradossalmente più fiducia negli altri. Perché sei vagamente più auto-sufficiente. Da cui ho capito che se i miei piedi non sanno dove stanno camminando, io mi sento sfiduciata e frastornata e diffidente. Se non mi creo dei percorsi abituali con un mio spazio di micro-conoscenze non darò spazio agli altri. Quindi secondo me le abitudini spaziali hanno priorità sulle questioni relazionali. Non è fondamentale conoscere o non conoscere la lingua del luogo all'inizio. Prima di tutto dev'esserci l'acquisizione del luogo stesso. 

E parlando di corpo, davvero non si può capire cos'è la calca se non hai provato un maledetto dala-dala nelle simpatiche ora di punta. Tutti pigiati in questi furgoncini senza appigli e senza spazio per sbattere gli occhi. Lì la cosa più orribile è avere una gonna addosso e sentire il sudore scendere per le gambe e non avere lo spazio per asciugarlo. No, nemmeno contro l'altra gamba. E stamattina per la prima volta, e credo non mi ricapiterà più, non ero l'unica pallida nel dala-dala. Eravamo ben TRE! Un anziano in prima fila di fianco all'autista, e un ragazzo più bianchiccio di me in fondo. Evento degno di nota.

E comunque a parte tutto, il week-end è andato bene! Ho conosciuto persone interessanti, E. in particolare. Visti e fotografati posti meravigliosi. Avvistati i primi baobab giganti. E mangiato un pesce buonissimo con le mani. Ho anche comprato una bella gonna rosa shocking. 
Altre osservazioni: donne e uomini usano davvero andare in giro con pacchi sopra la testa. Pacchi, sacchi, taniche d'acqua. Ci sta qualsiasi cosa. Non posso capire come fanno. Va oltre i miei poveri limiti. E un'altra cosa che non mi spiego è: perché sembra che soltanto noi rosa sudiamo? Io nel dala-dala grondo sudore da tutte le parti. Loro sembrano sempre asciutti, riarsi, secchi. Anche i capelli. Ma loro non sudano? Il mio collega mi assicura di sì.

mercoledì 17 settembre 2008

Dar Es Salaam

Arrivo a Dar Es Salaam lunedì sera, e sembra già notte inoltrata. Lo scalo a Nairobi è durato solo mezz'ora, dalle 18.10 alle 18.40: giusto per passare da una luce di crepuscolo al buio pesto. E io che mi ero messa le lenti a contatto per riuscire a vedere Dar dall'alto! L'unica cosa che ho visto sono state tante luci su un porto. Neanche Nairobi era granche da lassù. Eppure ero in Africa! E l'emozione reggeva ancora. 
Sono in Africa. Solo il nome ha la sua carica di avventura. Colpa della nostra cultura da imperialisti posticci. Occidentali.
Con il buio mi è passato ogni sollazzo da avventuriera. Più mi avvicinavo alla Tanzania più volevo tornare a casa. Da D., dalla mamma, a casa, alle abitudini. Non mi è ancora passato quel sentore.
Le strade sono buie, enormi, sembrano semiasfaltate, come se fossero ancora sabbiose. Come l'atmosfera di un incubo. Emozione, euforia, niente. Paura. Per quale stronzo motivo mi sono fissata con l'Africa? E adesso che ci sono non so cosa sono venuta a farci. 
Nella stanza c'è un piccolo geco. Il responsabile dell'ostello dice che in quanto mangiatore di zanzare sarà il mio migliore amico. Lo vedo in posizione diverse sul soffitto senza accorgermi di quando si muove. Ma lo sento. E c'è un orrore furioso nell'ascoltare rumori di cui non sai nulla.
Forse devo ammettere una volta per tutta che non sono quello che vorrei essere. Non sono spavalda, non sono coraggiosa, non sono pronta all'avventura. Non so perché sono venuta quaggiù. Forse ha ragione D., e il mondo si può vedere nei documentari da casa propria. 
Sono stanca e mi sento sola. 

Eppure prima nel buio sentivo una voce che cantilenava qualcosa. Eppure anche adesso mi sembra di sentire dei canti o delle mani che battono. Allucinazioni da Lariam?