mercoledì 29 ottobre 2008

Africa violenta

Ho assistito alla mia prima rissa da incidente d'auto. In mezzo alla strada vicino al mio ostello, un dala-dala e un auto in scontro frontale, ma non mortale, niente di grave sembrava. Subito si è formato un capannello di persone intorno e hanno cominciato a prendersela con un uomo. Tutti addosso a lui, che strillava qualcosa. Bisogna sapere infatti che in questo posto chiamato Africa quando capitano incidenti d'auto, se la colpa è evidentemente dell'autista e ci scappa il morto o il ferito grave, il pubblico presente cerca di linciare il colpevole. È una pratica piuttosto comune. Per questo il consiglio che tutti danno ai novelli bianchi appena capitati qua è questo: se per un caso malcapitato dovessi investire qualcuno, non fermarti mai! Scappa alla tua ambasciata e non uscirne! L'uomo che rischiava il linciaggio sotto i miei occhi stava effettivamente gridando di non essere lui l'autista, ha detto poi il mio bajaji. Non so se alla fine sia stato picchiato a morte. Quando l'ho visto scappare ho pensato che non sarebbe finita in tragedia, ma quando poi è tornato con una vanga, ho detto al mio bajaji di levare le tende, anche perché la ressa era sempre più vicina.

Pare che il linciaggio immediato e indisturbato avvenga anche nei casi di furto. Se qualcuno viene scoperto in flagrante, o se il derubato inizia ad accusare qualcuno, comincia la caccia al ladro, e ci sono buone probabilità che finirà ucciso dalla folla. Perché c'è sempre della folla pronta a riunirsi, e i casi di linciaggio possono tranquillamente finire in omicidio. Ti picchiano finché non ti uccidono. Ladro. Autista che ha provocato un incidente d'auto. Queste le principali cause di linciaggio, non credo ce ne siano altre. In pubblico, intendo. Se la polizia interviene può non finire in tragedia. Ma qui la gente è stanca della corruzione. Se il ladro finisse anche in galera, se ha due soldi da dare alla polizia, allora è libero, impunito. Perciò l'unico modo per premunirsi è ucciderlo sul posto. All'istante. Se morto, allora è un ladro in meno. Lo stesso per gli autisti, soprattutto di dala-dala, che hanno fama di guidare come i pazzi. Un pericolo in meno. 

Quando ho visto l'uomo picchiato dalla folla riuscire a divincolarsi per poi tornare alla carica con una vanga ho avuto paura. Non solo paura della situazione, che comunque aveva dei margini di rischio. Ma paura che quello che si dice dell'Africa fosse vero. E il fatto è che in parte lo è. La prima cosa che mio zio mi ha detto, quando ha saputo che stavo per andare in Africa, è stata: “Ma là si uccidono come niente! Là sono cannibali!”. D'accordo, è veneto e pure leghista, e la questione dei cannibali è risibile. Ma. C'è un grosso Ma che adesso mi si para davanti. Ci sono esplosioni di rabbia folle in cui semplicemente uccidono. Anche da noi si uccide certo. Però il linciaggio pubblico, accettato, forse è un po' diverso, ma devo ancora pensarci su. 

mercoledì 22 ottobre 2008

RITORNO DA UNA CITTÀ-VILLAGGIO

Torno da un weekend a Njombe rinata, rappacificata, distesa e caricata di nuova energia. Non è la Tanzania che non mi piace, è solo Dar Es Salaam. Posso restringere il campo della mia frustrazione e così facendo ammorbidirla. 
Njombe è una città di 40.000 abitanti a Sud della Tanzania, su un altopiano di 2000 metri. A Njombe fa un freddo incredibile e la nebbia la mattina è praticamente padana! È una città che ti aspetti in Africa. Una specie di villaggio espanso, tutto fango e tetti di lamiera. Solo la strada principale che l'attraversa è asfaltata, tutto il resto è rosso sterrato. Puoi passeggiare tranquillo, nessuno che ti importuna. Nessuno che ti offra un taxi, un bajaji, o che ti chieda dei soldi. Certo se passi al mercato sentirai sempre "mzungu!" nelle orecchie, ma tutti i mercati del mondo sono uguali! (non che noi ci mettiamo a richiamare l'attenzione di un africano dicendogli dietro “ehi nero!”, però sono situazioni diverse, credo). C'è un'atmosfera rilassata. E per di più sono stata tutto il tempo con ragazze parlanti kiswahili. E insomma sono tornata a Dar contenta, pronta a rilanciarmi di nuovo nell'Africa. Pronta a imparare il kiswahili, a salutare tutti quanti (che se no si offendono), pronta a parlare il più possibile e a rivalutare Dar Es Salaam, la Tanzania e l'Africa intera! 
Ho anche avuto modo di parlare di Dar Es Salaam con un tanzaniano che fa il veterinario lì a Njombe. Nonostante il mestiere che fa non riesce a mantenere la sua famiglia, e così ha cominciato ad accumulare polli. Adesso ne ha 400! e tra le uova e tutto riesce ad arrivare alla fine del mese. Mi raccontava che i salari sono miseri ma in un villaggio sono tutti nelle stesse condizioni, tutti mediamente poveri, tutti senza mezzi di trasporto (per queste strade si va a piedi, al massimo in bicicletta), eventualmente tutti senza acqua corrente o elettricità. Ma ci teneva a dirmi che sono felici perché sono insieme, perché stanno bene e perché non hanno problemi. E sono solidali l'uno con l'altro. A Dar Es Salaam si respira un'aria del tutto diversa perché c'è una profonda disuguaglianza tra la gente. Ci sono persone estremamente ricche, con ville, macchine lussuose, vestiti costosi. E accanto a loro gli immigrati dalle campagne, i disoccupati, gli estremamente poveri. La loro frustrazione si respira. 
Eppure torno da Njombe pronta ad andare oltre la prima impressione. Ho ricominciato con i dala-dala e ad andare in giro a piedi, per quanto mi permettono queste distanze almeno. Ho persino scoperto che anche Dar Es Salaam ha degli angoli che meritano di essere visti, come Mosque Street dove le moschee sono veramente da fiaba. E se sorridi tutti ti salutano. 

mercoledì 15 ottobre 2008

Stare in Africa ti fa diventare razzista?

È ora di parlare di africani. Qui le voci si moltiplicano su quello che la maggior parte degli europei/occidentali ancora credono, me compresa fino alla settimana scorsa. Il punto è questo: dal nostro bianco mondo civile pensiamo ai poveri neri affamati, e alle nostre colpe di colonizzatori. Però una volta che arrivi qui, cominci a farti delle domande. Cose tipo: ma perché con una terra così ricca di minerali, pietre preziose, possibilità turistiche incredibili, perché i soli ad arricchirsi sono i politici? Perché nessuno dice niente della condizione delle strade? Perché non si possono avere strade asfaltate senza buchi come crateri? O degli autobus anche solo vagamente più civili? Dove non sei stipato come un ebreo e dove non ti cede la sedia sotto al culo. Perché la città deve essere così irrimediabilmente brutta? Cadente, sporca, fatiscente e puzzolente. E perché tutti poveri ma pieni di auto? E cellulari. 
Poi arrivano il secondo round di domande: e se davvero fosse ora di far basta con gli aiuti ai poveri Paesi africani? Cosa fanno tutti i nostri finanziamenti alla loro autonomia economica? E se si arrangiassero? Poi però pensi ai milioni di africani che morirebbero nelle campagne senza gli aiuti alimentari. E insomma non trovo una risposta alle questioni ormai mistiche sull'Africa. Ma di sicuro stare qui toglie un po' di smalto buonista. 
Il problema è che con “qui”, non intendo la Tanzania, ma Dar Es Salaam. Perché altrettante voci dicono che invece il villaggio è la realtà africana, ed è una realtà che funziona da sé. Dove è possibile che il nero non venga da te bianco solo a chieder soldi, ma a guardarti con curiosità, a scambiare due chiacchiere, informazioni. 
Forse si può tornare da un'esperienza in un villaggio senza diventare un po' razzista. O forse no. Due italiani stanno girando l'intero continente africano in auto (www.2africa4love.com). Hanno visto villaggi e città. E ora sono un po' più razzisti di prima. E anche loro dicono che l'africano in generale “vede l'uomo bianco come una cassaforte, di cui devono trovare la chiave per entrare”. D'altra parte però c'è anche un'altra coppia, che l'Africa la sta girando in bicicletta (www.worldbiking.info) che vede invece gli africani come persone sempre gentili, sempre disponibili. Una volta avevano persino lasciato una borsa con carte di credito e macchina fotografica in un bar. E il barista è corso loro dietro a riportargliela! 

Allora forse bisogna considerare i mezzi con cui affronti una nuova realtà. Forse più i mezzi sono simili a quelli delle persone cui ti stai avvicinando, più queste saranno disponibili. E con mezzi intendo ovviamente tutto il bagaglio fisico, psicologico e morale. E allora forse con meno bagagli arrivi e meglio è, qui in Africa. Meno bagagli e meno barriere. E allora bisogna anche aggiungere che il mio mezzo personale per avvicinare la realtà africana è completamente sbagliato. Che l'ambasciata è la cosa più lontana dalla realtà che qui si possa trovare. Ambasciata vuol dire soldi, vuol dire Yacht Club e Golf Club. Vuol dire barriera tra me e chi mi viene a chiedere il visto. Barriera di vetro, barriera di soldi e barriera linguistica. Perché non c'è verso che un qualunque funzionario diplomatico impari la lingua del posto per starci qualche anno. E io che ci sto qualche mese? Forse ho sbagliato tutto e non ci caverò un briciolo in più di conoscenza. Sono venuta per conoscere una cultura diversa dalla mia e non so se ne ho i mezzi, o le capacità per farlo.

mercoledì 8 ottobre 2008

In un Paese senza edicole

Mi manca tantissimo il superfluo. Film, libri, una stampa variegata. Perché sebbene ci sia abbastanza poesia in questa natura, da supplire a qualsiasi cosa potrebbero costruire i tanzaniani, non è abbastanza. I cieli sono uno spettacolo, e le spiagge hanno una bellezza che incanta, ma mi manca Toni Servillo, mi manca Hrabal. La parola, la sintassi. La costruzione formale. Mi manca la forma. Ovvio che qui si viva più sulla sostanza, ma non è per me. È almeno dal liceo che dico che lo stile è tutto. Forse è davvero solo una questione di memoria. (Ho preso il blog come un diario)
Forse stare qui in Africa mi aiuterà a chiarirmi le idee su quello che voglio. I libri sono la mia più grande passione. Non c'è niente che mi incanti più di una storia ben raccontata. Non mi interessano i poveri, i neri, la fame, l'acqua. Sono qui per scrivere, al massimo. Non ci faccio un cazzo con l'essenziale se non ho il superfluo.
E come si fa a campare senza un'edicola? Ho ricominciato la ricerca di una casa editrice da quaggiù. Compro Internazionale in .pdf. Sono snob bianca occidentale e ricca per gli standard. Inutile negarlo. Non mi piace prendere i dala-dala, sono sempre strapieni, ci metti un'ora per arrivare da qualunque parte solo perché nonostante la povertà troppi tanzaniani hanno la macchina. E così adesso vado in bajaji. Pazienza per il contatto umano. Magari un'altra volta. Non me la posso prendere che non sono come vorrei essere. Ma me ne sto facendo una ragione. 
Se anche non riuscissi a farmi dei contatti nell'Onu, nell'Unesco, nell'Unione Europea, e non riuscissi a scrivere due righe pagate (quelle gratis sono sempre assicurate!): pazienza. La casa editrice è un obiettivo che si rinnova. Mi tocca seguirlo come la stella cadente. Ho sempre detto meglio i libri delle persone, e cosa ci faccio in Africa? Che valga come percorso metafisico, almeno.

mercoledì 1 ottobre 2008

Conoscere un tanzaniano

Lunedì ho accettato un passaggio da un tizio conosciuto per la strada, cosa che non avrei mai fatto in Italia. Mai. (Anche se ho fatto l'autostop in Italia!). Credo che abbia a che fare con il bisogno di misurarmi con le persone del posto. Ho bisogno di conoscere dei tanzaniani, ma all'ambasciata è impensabile, e all'ostello non capita nessuno, a parte quelli che ci lavorano. Ho deciso che volevo vivere per un po' in un Paese africano perché volevo conoscere la cultura del posto, che vuol dire conoscere persone! E adesso sono qui da due settimane e non conosco nessun tanzaniano a parte lo staff dell'ostello. Avrei dovuto aspettarmelo (sì, anche questo!) perché anche dai 9 mesi di Erasmus in Francia ho ricavato solo 2 amiche francesi, che poi comunque ho perso (mentre mantengo quella con una ragazza italiana conosciuta lì). Bisognerebbe tirare le giuste somme dalle proprie esperienze ma sembra che mi sia un po' difficile. E così ho parlato con un tanzaniano e ho accettato un passaggio da una persona che mi è sembrata affidabile. E di fatto lo è stata: non mi ha importunato, molestato, niente di invadente né imbarazzante. Due chiacchiere in auto sulla Tanzania, sul lavoro, la corruzione, la disoccupazione. Qual è la differenza tra lo stare a casa propria e leggere gli indici di corruzione che trovi su Internet e stare qui senza conoscere la gente del luogo? Probabilmente ho fatto una cosa stupida, e probabilmente non la ripeterò, ma devo ancora trovare un modo per entrare nel loro mondo, e stare chiusa in ostello tra soli bianchi non è la soluzione. Se dovessi spendere i prossimi due mesi e mezzo in questo modo, tanto valeva stare a casa a guardare i documentari in televisione.
Due ragazzi del posto dicono che Dar è troppo frenetica (cosa che può sembrare ossimorica qui in Africa!) e nessuno si ferma a chiacchierare davvero con uno mzungu (bianco), anche perché non siamo pochi! Per trovare il vero volto tanzaniano bisogna uscire e passare per i villaggi. Lì puoi davvero riconoscere l'ospitalità e disponibilità locali. Vedremo. Bisognerà che esca da qui comunque. Ma il fatto che noi bianchi siamo visti come delle banconote con le gambe sembra essere una realtà condivisa. Almeno per quanto riguarda Dar. 
Alle volte nei dala-dala mi sento a disagio. Come se fossi in uno dei loro mezzi super-economici (300scellini=20centesimi di euro, per una decina di chilometri) alla faccia loro e non ne avessi il diritto. Tutti ti guardano e magari non si spiegano perché non prendi un taxi (10.000scellini=6euro) o al limite un bagiagi (5.000scellini=3euro). Ma sei lì a rubare spazio a loro. Anche perché lo spazio qui è una realtà da rivendicare o da guadagnare. O ti guardano semplicemente perché sei bianco.

La luce del mattino è di una limpidezza allarmante, l'occhio non riesce a credere e sembra che non ci siano barriere tra te e il mondo. Come una visione perfetta. I contorni delle foglie, dei tronchi, sono così netti contro un cielo così assolutamente azzurro che fa un po' impressione. E i cieli sono davvero più grandi quaggiù. Sarà che non esiste l'illuminazione stradale, e le case alte sono una rarità che si trova solo nel centro di Dar. Ma quando alzi gli occhi di notte vedi questo cielo così grande, che è come se avesse recuperato le sue tre dimensioni. Come se a guardarlo di solito fosse un soffitto e da qui lo ricontempli intero! Sarà che ci sono sempre grosse nuvole in movimento e il cielo si fa più grande in prospettiva. Ma c'è una bellezza sfacciata nella luce e nel cielo. Forse anche per questo i tanzaniani non si sentono in obbligo di rendere altrettanto belle le loro città.