mercoledì 26 novembre 2008

LO SPAZIO DEL SILENZIO

In due mesi quaggiù a Dar Es Salaam non sono ancora riuscita a trovare uno spazio personale privato e intimo in cui sentirmi a mio agio. Credo a questo punto, a un mese dal mio rientro, di non trovarlo più. Uno spazio dove stare sola e in pace. Un parco, una piazza dove sedersi tranquilla a guardare la gente che passa, a fumare una sigaretta in contemplazione. Un bar carino dove stare per ore a vedere cosa succede intorno. Siamo chiusi in compound e la città è una specie di giungla di auto e schiamazzi. In centro non puoi stare tranquillo e comunque è un po' brutto la voglia di sederti in un angolo a guardare generalmente ti passa. E se anche volessi sederti lungo Mosque Street di fronte a una di quelle bellissime moschee non puoi sperare di essere lasciato in pace. Ma tanto non ci sarebbe un posto per sedersi comunque. A parte gli scalini o il marciapiede rotto. Ci sono dei bei bar nei centri di negozi per bianchi ma sono appunto per bianchi. E cosa li guardi a fare? 

L'ostello diventa un'oasi di notte. Quando sono sola con il rumore del generatore e un guardiano che sonnecchia. Essere soli al buio di notte, non voglio cercare altro, non voglio sapere altro. Basta un libro, una storia, un momento di poesia. Come si diventa lirici con un po' di silenzio intorno e del tempo per maturare un po' di spazio interiore. Cerco poesia intorno e penso che mi sarei dovuta portar dietro i miei classici, un po' di Hrabal, un po' di Montale, un po' di DeLillo e a chiudere anche un po' di Pavese. Com'è che sono diventata così malinconica non lo so. Non ho argomenti e forse ho troppo tempo.

Ma a pensarci bene il mio problema è un altro ancora. Sono partita allo sbaraglio convinta che le cose da scrivere mi sarebbero cadute intorno. Ci sono tante cose nuove, certo. Ma non ho punti di riferimento e non ho nemmeno considerato il mio carattere. A vedere le mie azioni a posteriori sembra che io non mi conosca e forse è così. Se fossi stata catapultata a Catania, per dirne una, o a Roma, sola, chiusa in un ufficio fino a metà pomeriggio tutti i giorni, avrei conosciuto qualcuno oltre alle persone del lavoro e dell'alloggio? Probabilmente no. Eppure pensavo di arrivare qui e conoscere i tanzaniani tutti in un colpo. E poniamo sempre di essere stata a Roma, non avendo alcuna rete di contatti come avrei fatto a scrivere qualcosa? O ti capita un omicidio sotto al naso, e allora d'accordo. Ma per un'inchiesta, per dire, c'è bisogno di punti di riferimento da cui sai che puoi cavare informazioni, e ci vuole tempo. Non so cosa mi aspettassi da me e da questa esperienza. Certo che ne sto cavando qualcosa, ma mi sono serviti due mesi soltanto per riformulare gli obiettivi.  

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